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Julien Gracq

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La firma di Julien Gracq

Julien Gracq pseudonimo di Louis Poirier (1910 – 2007), scrittore francese.

Citazioni di Julien Gracq

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  • Più che sulla Riva degli Schiavoni o nei pressi delle Zattere, dove la città ancora si aggroviglia ai fondali alti e agli isolotti della laguna senza tracciare una netta demarcazione attorno a sé, era lungo le Fondamenta Nuove, percorrendo le quali il camminatore incrocia con lo sguardo l'Isola dei Morti e avverte quasi l'impressione che la città abbia preso a rimorchio un vascello fantasma, che mi piaceva assaporare quella sensazione di prendere il largo, di salpare, che nessun'altra città mi ha potuto mai dare in pari grado. Ma non salpare verso l'alto mare: piuttosto – attraverso le oleose acque della laguna, tagliuzzate come un ostricaio dalle linee dei pali d'ormeggio, e che fanno di Venezia, per gli occhi e l'immaginazione, una città attraccata a un palo posto al centro di una flotta colata a picco – una deriva seducente lungo il corso dei secoli morti, verso gli insabbiamenti della non-durata [...].[1]
  • [Il centro storico di Roma] Per me la città resta lacerata da ampi spazi nudi e lunari, singoli raggruppamenti di rovine tra piante selvatiche che lei ha progressivamente accerchiato qui e là; un insidioso sovvertimento desertico penetra per infiltrazione questo antico agglomerato urbano [...]; è una nobile città lacunosa, squarciata da radure inquietanti e ancora ignote, che sembrano aspettare in un sogno ad occhi aperti non so che sorta di atterraggi fantastici fuori dal tempo.[2]

Letterine

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  • Hemingway: se dovessi scrivere un saggio su di lui, lo intitolerei Del dono considerato come un limite. Affronta un dialogo con la stessa sicurezza con cui Sacha Guitry entrava in scena: sa che non annoierà mai; riesce a forzare la pagina con la stessa naturalezza con cui altri sanno raggiungere la platea. Finché c'è Hemingway, se ne subisce il fascino; poi, si va a fumare una sigaretta e non ci si pensa più. (vol I, p. 42)
  • Psicanalisi letterariacritica tematicametafore ossessive, ecc. Che dire a questa gente che, credendo di possedere una chiave, non ha requie finché non ha dato alla vostra opera la forma di una serratura? (vol. I, p. 49)
  • Chiamo coesione nucleare quella forza di attrazione centrale insediata, e ben nascosta, nelle grandi opere che consente a esse non solo di tenere saldamente avvinti a sé tutti i personaggi, proprio come noi siamo incollati alla superficie del nostro pianeta — ma anche di attrarre nella propria orbita degli astri vaganti di minori dimensioni, e talvolta a grandi distanze: per esempio, l'altro giorno osservavo che per me l'Italia di Stendhal era capace di attrarre, di rimagnetizzare, e quasi di farsi carico di un'opera come Tosca. E così l'opera di Wagner è arrivata fino a noi dopo aver raccolto sopra di sé un vero e proprio anello di Saturno. E kafka e Dostoevskij. (vol. I, p. 66)
  • [Sull'Académie française] Perché prendersela con quella cara vecchia cosa, una delle curiosità più folkloristiche e più inglesi che abbiamo conservato? Non c'è nessun motivo di essere contro quegli uomini di molte o poche lettere che cingono la spada e battono il tamburo — basta, ovviamente, restarne fuori. Ci si può divertire al cambio della guardia di Buckingham Palace, senza per questo pensare di arruolarsi nelle Horse Guards. (vol. I, pp. 73-74.)
  • Lo scrittore mi interessa solo per la sua capacità di filtraggio. Chi reagisce all'eccitazione mi indispone: posso accendere la radio e con trenta centesimi compro il giornale. Li delego una volta per tutte al riflesso condizionato. (vol. I, p. 78)
  • Ogni tanto fantastico di un nuovo Sermone della montagna che faccia rifulgere agli occhi del mondo, prima che sia troppo tardi, l'alta dignità non più dei poveri, che vanno scomparendo, ma dei pigri. Così tante mani per trasformare questo mondo e così pochi sguardi per contemplarlo! (vol I, p. 101)
  • De Chirico coglie l'istantanea dei suoi quadri tra l'attimo in cui, proferita la parola fatale, viene tracciato il segno magico e quello in cui crollano le mura di Gerico e sfiorisce il giardino delle fanciulle-in-fiore. A cinquant'anni di distanza, siamo arrivati a capire che le ombre prodotte dai suoi portici e dalle sue statue non hanno mai rimandato alla luce del sole, bensì piuttosto a quella del fungo atomico. (vol. I, p. 113)
  • Si sta imponendo una sorta di legge di conservazione: via via che aumenta l'intensità dell'analisi critica, la massa dell'opera sembra ingegnarsi a diminuire. E (come è il caso del nouveau roman), cosciente della propria non resistenza, finisce per presentarsi da sola già pronta e predisposta per la dissezione critica: predigerita. (vol. I, pp. 119-120)
  • Quei critici un po' inquietanti, che sanno parlare dei libri degli altri come se li avessero fatti loro – da dentro: è ciò che io chiamo critica di annessione – con quella stupefacente chiaroveggenza della donna innamorata che capisce tutto dell'uomo, tranne l'erezione. (vol. I, p. 121)
  • La più perfetta putrefazione nobile della cosa politica, la carne dello Stato cotta a puntino, è secondo me la Venezia di Tiepolo e di Goldoni. I più bei fiori della dolce vita sono spuntati dal concime della Repubblica Serenissima: epoca meravigliosa, forse unica nella storia, in un'atmosfera di consunzione totale: palazzi, galeoni, doge, conventi, senatori e belle maschere, gondolieri e pescatori, e con una tale leggerezza, una tale allegria, una tale grazia, spremendo goccia a goccia il succo degli attimi dorati, senza vani terrori, senza false gravidanze storiche, senza dogmi mistici, senza sciocchezza, senza prosopopea alla Fabrizio[3] (vol I, p. 122)
  • Vette del Cantal: piccoli Cervini cuciti fino alla punta e calzati nella cavità di un astuccio ricavato dal panno di un biliardo. (vol. II, p. 152)
  • Fontana di Vaucluse: dal fondo dell'acqua lustrale, in cui si muovono le chiome di ondine verdi fino alle labbra superiori della conca ombrosa, in duecento metri tutti gli arpeggi della freschezza. (vol. II, p. 154)
  • [iL Palazzo dei Papi ad Avignone] Niente richiama con altrettanto rigore, più di tutte le fortezze che conosco, la glaciale durezza della vita medioevale. [...]
    Se lo spirito cluniacense del papato monastico e della milizia del chiostro si è materializzato in qualche luogo, nella sua rudezza costruttrice e nella sua autorità carceraria, è stato qui – e, accanto a queste opprimenti casematte della preghiera, la caserma dell'Escorial, così tanto magnificata per il suo sinistro ordine architettonico, conserva un che di fatuo alla Luigi Filippo. (vol II, p. 155)
  • Ciò che fa la bellezza drammatica di Le Raz, è il movimento vivo della sua colonna vertebrale squamata, spaccata, lamellata, che non occupa il centro del capo, ma serpeggia con la violenza di una frustata, sibilando come un rettile, ora verso i precipizi di destra, ora verso quelli di sinistra. Nell'immersione finale, ancora vigile, la roccia ara la corrente marina dell'isola di Sein come il versoio del vomere di un aratro. Il minerale travolto dall'acqua riemerge inalberandosi ancora: è il regno dei frammenti rocciosi; la terra, al momento di inabissarsi nel mare ostile, risolleva da ogni parte le sue scaglie acuminate a contropelo. (vol II, p. 167)
  • L'eucalipto: clorofilla cornea, incartapecorita, foglie ridotte come un teschio jivaro, lembo fogliare che sembra essiccato, scolorito nel sale, nel natron e nel bitume di Giudea – odore di cera e liturgico che si diffonde dal laboratorio di un imbalsamatore – albero mummia dal cui tronco cadono a brandelli, sfilacciandosi, le bende marce. (vol II, p. 173)
  • I radicali mutamenti di valori – cristianesimo, buddismo – sembrano essersi imposti di maturare all'interno di strutture politiche e sociali immutate, perché la rivelazione ineffabile di una nuova vita dell'anima rendeva superfluo ogni intervento violento sul concreto. «Chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato» – parola d'ordine di tutte le rivoluzioni – significa nello stesso tempo sottovoce che tutto il resto rimarrà più o meno al solito posto: il valore della scala graduata, la legge di gravità, il sistema di misura e il metro campione. (vol II, p. 185)
  • Le figure che affollano la Divina Commedia sono quelle della cronaca tragica, scandalosa e politica, di un piccolo territorio o città, in cui tutti vivono a contatto di gomito. Come è piccola questa Italia! [...] Sono i personaggi di un'epopea familiare e scabrosa dove ogni asperità tocca ancora nel vivo – depredazioni, calunnie, omicidi, rapimenti, liti per eredità, discordie intestine – e sulla quale il distacco della leggenda non ha avuto modo di cominciare il suo lavoro di erosione, di desensibilizzazione e di ristrutturazione. Il passaggio al mito opera qui − e per quanto ne so, soltanto qui − la trasfigurazione su cadaveri ancora caldi, e qualche volta addirittura in vivo: nessuna arte si presenta in modo così immediato e manifesto come potere. (vol II, p. 203)
  • Libri erotici. Piovono da ogni parte, coi tempi che corrono. Nessuno dei loro autori sembra accorgersi per un istante della regola aurea della loro arte, e cioè che in un argomento del genere, poeticamente, è solo il primo passo che conta, anzi il primo gesto, il primo sguardo trasgressore. Passata la sensazione del fuoco ghiacciato sulla pelle, del vento freddo e ardente, simile a chi fugge rasente la terra davanti a un terremoto, della soglia varcata nella stretta dell'emozione, non c'è più niente – più niente di cui la penna possa fare uso. Ma dov'è il provvidenziale suggeritore che questi autori dovrebbero pagare per ripetere loro incessantemente all'orecchio:
    ... Enough, – no more
    T'is not so sweet now as it was before
    [4] (vol II, p. 216)
  • Ogni libro degno di questo nome, se funziona realmente, funziona all'interno di una cinta chiusa, e la sua massima virtù è di recuperare e reincorporare – modificate – tutte le energie che libera, e di ricevere in cambio, riflesse, tutte le onde che emana. È questa la differenza con la vita, incomparabilmente più ricca e più varia, in cui la regola è però l'irradiamento e la dispersione sterile nell'illimitato. Spazio chiuso del libro: se è troppo ristretto, è il segno della sua debolezza. Ma se è anche ermetico, è il segno della sua efficacia. Il prefisso auto è sempre la parola chiave, quando si cerca di analizzare più da vicino la «magia» romanzesca: autoregolazione, autofecondazione, autorianimazione. Occorre che in ogni momento l'energia emessa da ogni particella si riverberi su tutta quanta la massa. (vol II, p. 227)
  • C'è una stupidità propria degli imbrattatele, e ben nota, una stupidità a impasto grasso: vita allo stato bruto, saggezza da fumatore di pipa, materialismo ottuso, riduttivo cinismo sessuale – ma i più grandi, ovviamente, vi sfuggono. (vol. II, p. 232)

Incipit di La riva delle Sirti

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Appartengo a una delle famiglie più antiche di Orsenna.[5]

Note

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  1. Da Intorno ai sette colli, pp. 55-56.
  2. Da Intorno ai sette colli, p. 110.
  3. Fabrizio del Dongo, protagonista de La Certosa di Parma di Stendhal.
  4. Basta, – non più | Non è così dolce ora come lo era prima. La traduzione dei versi di William Shakespeare tratti da La dodicesima notte è in Letterine, p. 216, nota 3.
  5. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Julien Gracq, Intorno ai sette colli, a cura di Paolo Luzi, traduzione di Paolo Luzi con la collaborazione di Andrea Vannicelli, prefazione di Andrea Vannicelli, Mattioli 1885, Fidenza, 2009. ISBN 978-88-6261-064-3
  • Julien Gracq, Letterine, introduzione di Lionello Sozzi, traduzione di Aldo Pasquali, Edizioni Theoria, Roma-Napoli, 1989.

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